Riforma dello Sport e parità di genere

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In breve

La Riforma dello Sport ha introdotto diverse tutele per combattere le discriminazioni e la violenza di genere e promuovere lo sport femminile

Dal 1° gennaio 2022 sono in vigore gli articoli 39 e 40 del D. Lgs. 36/2021 che si occupano di estendere le tutele sul lavoro anche gli sport femminili e di promuovere la parità di genere.

Queste previsioni sono state introdotte per ovviare alle disparità di trattamento dovute al genere, che per molti anni si sono avute negli organismi sportivi. Il principio della parità di trattamento e non discriminazione opera indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività svolta, non rileva la finalità lucrativa o non lucrativa del sodalizio sportivo di appartenenza.

In particolare, l’art. 39 del D. Lgs. 36/2021 si occupa di istituire e disciplinare un fondo per il passaggio al professionismo e di estendere le tutele sul lavoro negli sport femminili: lo Stato, infatti, ha destinato, a questo scopo, circa 11 milioni di euro per il triennio 2020/2022 (2,9 milioni per il 2020, 3,9 milioni per il 2021 e il 2022).

Per accedere a questo fondo le Federazioni Sportive devono deliberare il passaggio al professionismo dei campionati femminili, entro il 31 dicembre 2022. La norma disciplina poi, per legge, le attività alle quali le Federazioni devono destinare le somme ricevute.

Questa previsione è stata criticata da molte Federazioni a causa non solo della esiguità del fondo, ma anche per la previsione di un termine breve di tre per anni il passaggio al professionismo, nonché per l’incertezza dei meccanismi per alimentare la somma negli anni successivi. Solamente la Federcalcio ha deliberato il riconoscimento del professionismo delle donne, con l’obiettivo di incrementarne la competitività.

L’art. 40 delega il compito di promuovere la parità di genere alle Regioni, alle Province autonome e al Coni, negli ambiti di loro competenza. In particolare, il Coni ha il compito di stabilire “i principi informatori” per gli statuti delle Federazioni, delle Discipline Sportive Associate e della Associazioni Benemerite e di vigilare sul loro rispetto. Con questa norma si vogliono legittimare anche interventi promozionali di parificazione, che possono concretizzarsi in quote di genere. Già nel 2018 il Consiglio Nazionale del Coni aveva approvato i principi informatori, per cui i Consigli Federali, a partire dal 2020, dovevano avere genere diverso rispetto a un terzo della composizione totale.

Queste normative, in contrasto alla violenza di genere nello sport, si inseriscono in un contesto ancora estremamente stereotipato. A livello europeo, le donne rappresentano, in media, meno del 20% delle posizioni decisionali nelle Federazioni degli sport olimpici degli Stati membri. In Italia, prima del cambio di rotta del Coni, la presenza femminile nei Consigli Federali si attestava intorno al 10%.

I ruoli di genere tradizionali influenzano non solo la partecipazione delle donne ai processi decisionali, ma anche lo svolgimento della pratica sportiva. Molto spesso le atlete vengono sessualizzate; anche nei media si tendono a mettere in secondo piano i risultati ottenuti e le loro capacità, per enfatizzare la loro femminilità ed il lato attrattivo dell’atleta.

Un altro campo dove la violenza di genere si manifesta con diverse forme è il campo del digitale.

Navigando sul web e frequentando i social network, è frequente imbattersi più di una volta nei cosiddetti “haters”, ossia soggetti celati sotto i c.d.  nickname, talvolta  più improbabili; questi utenti “avvelenano” le discussioni con i loro commenti improntati a un odio violento e immotivato. Non si tratta  quindi di qualche singolo post virulento, ma di un vero e proprio atteggiamento costante di istigazione, astio, odio, disprezzo e provocazione, caratterizzato anche da insulti, molestie, diffusione di materiale sessualmente esplicito e attacchi rispetto al proprio aspetto e identità che inquina e rende tossiche le varie discussioni on line.

Ad oggi sul punto sono stati fatti dei passi avanti, in quanto in passato le politiche di contrasto alla violenza tendevano a sottovalutare l’uso di strumenti digitali e anche le campagne di sensibilizzazione e i profili di comunicazione istituzionali erano carenti. In oggi i recenti episodi di cronaca hanno sempre di più sensibilizzato gli argonauti del web su questo tema cercando di porre in essere delle campagne di sensibilizzazione sempre più efficaci.

Negli studi sulla violenza di genere nello sport un aspetto che viene fortemente in risalto è infatti il fenomeno della carenza di denunce. Le storie di omertà sono purtroppo dovute a molteplici ragioni, tra cui sicuramente in primis quelle di ordine “ambientali”, per cui si tende a giustificare lo stato di soggezione, soprattutto per le ragazze. Solo recentemente si è cominciato a parlare degli abusi sessuali che si sono verificati in modo diffuso tra i vari sport e a tutti i livelli, con una forte presa di posizione da parte di molte atlete che hanno espresso la volontà di non tacere più (cfr. per es. il movimento del #MeToo).

Al fianco delle atlete, recentemente, hanno preso posizione diverse Federazioni, decise a dare una svolta e a contrastare i gravi episodi di violenza. A titolo esemplificativo si ricorda: la Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (FASI), il cui Consiglio Federale ha modificato il proprio Regolamento di Giustizia introducendo un nuovo articolo (l’art.36 bis) che tipizza l’illecito disciplinare relativo alla commissione di abusi sessuali; la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE), che ha approvato un Codice etico e comportamentale, il quale deve essere sottoscritto da istruttori, tecnici e staff federale per svolgere la propria attività; la Federazione Internazionale Scherma (FIS), la quale ha deciso di adottare una Safeguarding Policy, consistente in un programma di attività finalizzate alla sensibilizzazione, prevenzione e contrasto di molestie.

Sono nuovi strumenti di tutela giuridica preziosi per contrastare il fenomeno delle discriminazioni di genere in ambito sportivo e per garantire a tutti la possibilità di praticare sport in un ambiente sano, sicuro e paritario.

Introdurre la questione di genere nello sport è quindi importante in quanto attraverso la formazione e gli strumenti specifici è possibile incoraggiare la promozione dell’uguaglianza tra donne e uomini. In questo senso, i due articoli del decreto della Riforma dello Sport vogliono creare modelli e buone pratiche per far emergere molestie e abusi e creare una cultura sportiva paritaria.

Sarebbe auspicabile ampliare il ventaglio delle misure mirate, ad esempio organizzando dibattiti pubblici e mettendo a disposizione programmi di formazione e di tutoraggio. L’effetto delle misure legislative potrebbe essere anche rinforzato da iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica, per eliminare le barriere che limitano alle donne l’accesso alle posizioni di vertice e lo svolgimento della pratica sportiva in condizioni di parità.

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