La partecipazione di minorenni alla vita associativa di un’a.s.d.

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In breve

Il ruolo che può in concreto assumere il minore, tramite il proprio rappresentate legale, è poco chiaro nelle norme e nella giurisprudenza

Un dubbio, che può sorgere in alcuni casi ed è più che una semplice questione scolastica di diritto, riguarda la partecipazione dei minorenni alla vita associativa che caratterizza un’associazione sportiva dilettantistica.

È ben chiaro a tutti che la maggior parte dell’attività sportiva svolta da associazioni e società dilettantistiche è rivolta, in primis, a favore di individui minori di età; ma costoro possono diventare soci dell’a.s.d. e possono esercitare all’interno di questa i diritti di voto sia attivi sia passivi?

Bisogna innanzitutto partire dalla considerazione di due nozioni di base, che verranno utili nel prosieguo: la capacità giuridica e la capacità di agire.

Per capacità giuridica si intende la suscettibilità del soggetto ad essere titolare di diritti e di doveri riconosciuti dall’ordinamento giuridico ed è la condizione che è propria di ciascuna persona fisica, che infatti ottiene tale riconoscimento dal momento della nascita (art. 1 codice civile). È pertanto una caratterizzazione indispensabile per ciascun individuo e immanente dello stesso, difatti l’art. 22 della Costituzione afferma che nessuno può essere privato della capacità giuridica, solo la morte ne determina la cessazione.

Diverso concetto è quello della capacità di agire, che attiene alla condizione di poter compiere atti giuridici (esercitare diritti, assumere obbligazioni, stipulare un contratto, …) e che viene riconosciuta al compimento della maggiore età a 18 anni (art. 2 c.c.).

La possibilità di agire non è per tutti, infatti può essere limitata al ricorrere di determinate circostanze o condizioni. Può non essere ancora ottenuta, come nel caso dei soggetti minorenni, che infatti necessitano dell’assistenza di un soggetto capace di agire che eserciti la responsabilità genitoriale o la tutela, che possa in concreto cioè, tra le altre incombenze, amministrarne i beni e rappresentarli nel compimento dei negozi giuridici. Può anche essere persa, specialmente mediante l’interdizione e l’inabilitazione (si deve notare che con questi istituti vige, in aggiunta, la causa di ineleggibilità e di decadenza, per la quale non può mai essere assunta la carica di amministratore ex art. 2382 c.c.).

Fatte queste necessarie premesse, possiamo passare al rapporto che intercorre tra minorenni e l’associazione, nel caso oggi in esame, sportiva.

I minori possono essere soci dell’associazione, senza alcun dubbio; questo è un loro diritto garantito, come per tutte le persone fisiche, dalla Costituzione negli gli articoli 2 e 18, che dichiarano il diritto degli individui di associarsi liberamente. Dunque nessuna differenza sussiste tra soci maggiori e minori d’età.

Il punto cruciale è però l’esercizio del diritto di voto che spetta al socio. Come anticipato, l’esercizio di un diritto rientra all’interno del novero di comportamenti che possono essere concretamente esercitati da chi abbia conseguito la capacità di agire, condizione che infatti non riguarda il minorenne, che non può votare comunemente.

Tale ostacolo è agevolmente superabile attraverso la figura di chi ha la responsabilità genitoriale o la tutela del minore. Costui, agendo nell’interesse del soggetto protetto, è in effetti dotato concretamente dei poteri di voto; così si è espressa la giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. VI, 4 ottobre 2017, n. 23228), che ha definito illegittima l’esclusione dal diritto di voto di associati minorenni, perché l’esercizio del voto viene attribuito dalla legge agli esercenti la responsabilità genitoriale.

Una limitazione consistente nella previsione del requisito della maggiore età per l’ammissione potrebbe perciò risultare contrastante con le finalità perseguite dall’associazione, a meno che particolari esigenze non richiedano una parziale chiusura, magari ai soci infraquattordicenni, o totale, per ragioni ancor più profonde, per esempio una connaturata pericolosità, come ha avuto modo di rilevare il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la nota n. 1309 del 2019. In particolare però, nel settore della pratica sportiva, tale ostacolo viene ritenuto prevalentemente irragionevole.

Stando così le cose, il minore può tranquillamente essere rappresentato dal soggetto incaricato, dalla legge o dal Tribunale, nella fase assembleare dell’associazione e così esercitare il proprio diritto di voto, pur in modo aggravato e più complesso.

Diverse, invece, sono le questioni che attengono al ruolo del minore nel Consiglio Direttivo. In esso infatti possono essere assunte obbligazioni che potrebbero, in ipotesi nemmeno troppo remote, ledere il patrimonio del minore, specialmente qualora l’associazione risultasse non riconosciuta e quindi dovesse rispondere dei debiti chi agisce in nome e per conto di questa; la vicenda potrebbe farsi ancor più complicata in caso di intervenuta separazione tra i coniugi.

Una possibile soluzione per superare un tale criticità consisterebbe nello strutturare l’associazione in modo differente. Se infatti il minore fosse tesserato come atleta per la pratica sportiva e il genitore fosse l’associato, l’ente potrebbe svolgere le proprie funzioni senza alcun intoppo e con maggior fluidità, contando su soggetti dotati di capacità giuridica e di agire.

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