Il fallo violento, oltre il rischio consentito, deve essere risarcito

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In breve

La Cassazione riconosce la risarcibilità del danno commesso con un fallo violento

La vicenda origina da un fallo di gioco, commesso in occasione di una partita amichevole tra due squadre in preparazione all’imminente inizio del campionato di calcio dilettantistico, che causò alcune fratture alla gamba al soggetto colpito.

Il danneggiato agì in giudizio per chiedere il risarcimento del danno causato, ma il Tribunale di primo grado escluse il dolo della lesione o un grado di violenza che fosse incompatibile con le caratteristiche dell’incontro di gioco, ritenendo che non ci fosse una finalità lesiva non funzionale al gioco e che non fosse provata la sproporzione tra l’intervento di gioco e le circostanze della partita.

In secondo grado, invece, la Corte d’appello rinvenne il criterio di decisione nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 12012 del 2002, per cui la responsabilità è esclusa se le lesioni siano conseguenti ad un atto compiuto senza violare le regole dell’attività o, se violando alcuna delle regole, vi sia una connessione tra l’atto e la violazione stessa; il nesso funzionale viene meno qualora sia esercitato un grado di violenza o di irruenza incompatibile col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva sia svolta o con la qualità delle persone partecipanti.

La decisione si fonda sul criterio legato al tipo di violenza commessa in relazione alle circostanze: un lieve intervento tra i professionisti non avrà ripercussioni sul piano degli effetti civili, mentre un’entrata a gamba tesa sul ginocchio in una partita di amici sarà un fatto da cui si determinerà responsabilità civile in capo al danneggiante, proprio per il motivo che il contesto non permette la compatibilità di quel tipo di irruenza con le caratteristiche del gioco.

I giudici di secondo grado rilevarono la sproporzione negli eventi occorsi: partita amichevole, intervento in tackle in scivolata, che non consentiva di arrestare l’azione intrapresa né svolgerla con precisione e quindi un rischio elevato di colpire l’avversario, e violenta forza tale da causare fratture in un soggetto sportivo.

A questa determinazione si è affiancata la Corte di Cassazione, sez. VI, con l’ordinanza n. 3959 del 9 febbraio 2023, la quale ha ritenuto corretto il ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di merito. Innanzitutto i fatti sono stati accertati secondo un canone di ragionevole probabilità in riferimento alla connessione degli accadimenti, secondo il principio del “id quod plerumque accidit”, la Corte ha perciò legittimamente ricavato il nesso causale, tra l’azione calcistica intrapresa e l’evento di danno, sulla base di considerazioni che si fondano su massime e regole ricavabili dalla comune e quotidiana esperienza; in questo modo si riconosce che l’azione di tackle in scivolata, eseguita con irruenza e violenza, non permette di fermare l’intervento iniziato né eseguirlo con la necessaria precisione ad evitare conseguenze spiacevoli.

Ancor più specificamente è, dunque, necessario valutare le differenze che intercorrono tra un’azione intrapresa in un contesto professionistico o almeno agonistico ed una semplice amichevole.

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