Attività commerciale dell’associazione sportiva dilettantistica sotto la lente dei giudici

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In breve

La Cassazione ribadisce l’insufficienza del solo requisito formale per godere delle esenzioni d’imposta

La Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato la questione, che si ripropone con una certa costanza, relativa alle a.s.d. e al loro regime fiscale agevolato.

Infatti, le realtà sportive dilettantistiche godono di alcuni vantaggi da un punto di vista della tassazione loro applicata, disposta da una normativa di favore, contenuta, tra le altre, nella l. 289/2002 e d.P.R. 917/1986.

Nella loro pronuncia, l’ordinanza n. 6361 del 2 marzo 2023, i giudici di legittimità hanno interamente cassato con rinvio la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, per non aver quest’ultima valutato il rispetto di tutti i requisiti formali richiesti ad un’associazione sportiva dilettantistica per ottenere i vantaggi fiscali ed aver omesso completamente la verifica della natura dell’attività concretamente svolta dall’ente, mentre in primo grado la Commissione Provinciale aveva respinto il ricorso del contribuente, ritenendo che il carattere commerciale della sua attività discendesse dal fatto che la ricerca di sponsor e clienti ricopriva una quota pari a quasi il totale dei ricavi complessivi della medesima.

È, difatti, ormai consolidato il principio (per cui si richiama il precedente deciso dalla sentenza di Cassazione n. 30008 del 2021) secondo il quale, al fine di ottenere il riconoscimento della fiscalità di favore, l’a.s.d. o s.s.d. ha l’onere di dimostrare non solo la ricorrenza di tutti i requisiti formalistici previsti dall’art. 148, comma 8 del d.P.R. 917/1986 (Tuir), ma anche fornire piena prova che l’attività principale è quella sportiva e non quella commerciale. Non è quindi l’aspetto esteriore a determinare la natura dell’attività svolta, dovendosi invece analizzare le modalità del suo effettivo esercizio.

I giudici di merito devono quindi, innanzitutto, considerare e verificare che ricorrano tutti gli elementi di cui all’art. 148, comma 8 (divieto di distribuzione utili, devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento ad altra associazione, partecipazione alla vita associativa, rendiconto economico e finanziario annuale, eleggibilità e democraticità, intrasmissibilità della quota associativa) e, successivamente, valutare l’attività svolta in sostanza. Se questa risulta diversa da quella sportiva, allora viene dichiarata la decadenza dell’ente dai benefici fiscali, poiché l’a.s.d. o s.s.d. è semplicemente uno schermo dietro il quale è in realtà praticata attività avente natura commerciale.

Nel caso all’origine di questa vicenda giudiziale l’associazione sportiva, pur affiliata dapprima alla Csai-Aci e poi approdata al Coni nel 2011, partecipava alle competizioni con atleti che non erano soci, ma erano esperti e già affermati nel loro settore, così da ottenere maggiore visibilità e ricavare sponsorizzazioni più redditizie, e al contempo non era svolta formazione di atleti né sviluppo e diffusione della pratica sportiva. Queste finalità sono state giudicate non corrispondenti alla mera attività sportiva e hanno portato all’accoglimento della tesi dell’Agenzia delle Entrate.

Tale deficit si è sommato all’assenza, sotto il profilo formale, dell’affiliazione al Coni e dell’indicazione di associazione sportiva dilettantistica nella propria denominazione, come richiesto dai commi 17 e 18 dell’art. 90 della l. 289/2002 (oggi abrogati dal d.lgs. 36/2021 e sostituiti dagli artt. 6 e 7 del medesimo decreto), al momento della contestazione fiscale, nell’anno d’imposta di riferimento.

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